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Ancora qualche riga da “Storia di V.”

L’inizio (continua)

Rivedendo oggi quell’episodio, sorrido per la mia scarsa organizzazione, anche se a quell’epoca credevo di aver pensato a tutto. Effettivamente, corsi grossi rischi, non avendo pianificato per filo e per segno la sparizione del corpo e di quanto utilizzato durante l’omicidio. Mi ripromisi di documentarmi meglio sui metodi per far sparire un corpo. Già, perché quelle “persone”, quelle che avrei scelto, non meritavano nemmeno una tomba, un ricordo da parte della società. Ma, soprattutto, dovevo tutelare me stesso e la mia missione. Dovevo evitare qualsiasi tipo di sospetto (e un po’, devo ammetterlo, contavo che la mia condizione e posizione sociale potessero aiutarmi) e dovevo eliminare qualsiasi tipo di prova.
A dire il vero, sono ancora qui che mi domando come abbiano fatto a non beccarmi, quella volta. Azione alla luce del sole, disorganizzazione totale nello smaltimento del corpo, rapimento e uccisione di una persona fortemente radicata sul territorio, non originaria della zona, ma da decenni residente e con una famiglia numerosa. Erano rischi che non potevo più prendermi. E non me li presi. Più.
Le fiamme si erano spente da un po’. Presi la vanga – non avevo una pala – e, non senza difficoltà, raccolsi le ceneri. Le immersi – anche loro! – nell’acido, facendo attenzione a non lasciare nessun tipo di resto o brandello di tessuto, nemmeno piccolissimo.
Posizionai il coperchio sul fusto, presi la saldatrice e lo fissai, chiudendo ermeticamente quella bara. Presi dalla tanica l’etichetta del tipo di acido, la staccai e la appiccicai, con dello scotch, sul bidone. Con il muletto, che per fortuna non avevo ancora fatto portare via, caricai il fusto sulla giardinetta e… Mi diressi verso la società di smaltimento dei rifiuti. “La sua fine naturale”, dicevo tra me e me, mentre guidavo. Ero perfettamente pulito, avevo lasciato il casotto in condizioni perfette, per come potevano esserlo, dato lo stato dei lavori, e stavo portando in giro un cadavere sciolto sulla macchina. Un pazzo. Un rischio enorme. Eppure… Tutto filò liscio. Arrivato al cancello della società, scesi dall’auto e mi diressi verso l’ufficio. Segnalai che dovevo scaricare un bidone di acido, le cui caratteristiche erano indicate sullo stesso, che era servito per una serie di lavori di edilizia. Il tipo all’ingresso non fece molte domande. «Lo porti all’area B2, là in fondo, a destra», mi disse.
«Come sarà smaltito? Sa… sono molto legato all’ambiente e non vorrei essere causa di inquinamento… non me lo perdonerei mai!» – dissi, mostrando preoccupazione.
«Certo che se tutti fossero come lei, il mondo sarebbe migliore!» – commentò l’uomo, sorridendo – «Sarà smaltito da una ditta specializzata, che lo porterà all’estero in un impianto che ne gestirà l’eliminazione…»
Sembrava una buona soluzione. Salutai l’uomo, risalii in macchina e raggiunsi l’area indicata. Fortunatamente, in zona c’erano due dipendenti dell’azienda, che mi aiutarono a scaricare il fusto. Veramente idiota. Così mi sento, rivedendo quell’immagine… come potevo pensare di non essere scoperto, se per eliminare le prove avevo bisogno di aiuto? Dovevo pianificare meglio il tutto, perché altrimenti avrei corso troppi rischi…
Non saprei descrivere, così, a distanza di anni, la sensazione che mi pervadeva mentre rientravo a casa. Si era fatta ora di cena e giunsi qualche minuto prima di mia moglie e dei bambini.
«Visto che siamo tornati praticamente a tempo… pizza?» – proposi – «Però, ce la mangiamo a casa… cosa ne dite?»
I bambini accolsero con entusiasmo e, tutto sommato, anche mia moglie. Ordinammo le pizze, che arrivarono dopo circa mezz’ora. Fu una cena serena, durante la quale i bambini raccontarono tutto quello che avevano fatto, desiderosi di mettermi al corrente, e durante la quale mi sentii in pace con il mondo, ma soprattutto con la mia famiglia e con me stesso. Una sensazione terribilmente gratificante…
E un vasetto di sangue in un pozzetto portaoggetti nascosto della giardinetta.

© Roberto Grenna – Riproduzione vietata

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