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Ecco qualche altra pagina del romanzo “Il fiume”, che è acquistabile qui. Buona lettura!

«Sai, proprio non riesco a capire i nostri compagni!», mi confidò un giorno.

«Io e te stiamo così bene insieme, anche se siamo una femmina e un maschio! Dovremmo fare qualcosa per farli diventare come noi!»

Per quel giorno, però, era troppo tardi. I compiti ci aspettavano sul tavolo di casa mia. La prima estate fu drammatica. Al momento di partire in vacanza, mi impuntai.

«No, no e poi no! O viene Elena o io rimango qui!»

«Ma cosa vuoi fare qui, da solo!»

«Non sarò solo: verranno i nonni a stare qui con me!»

Non faccio fatica a dire che fui letteralmente trascinato in macchina, la mattina della partenza. Fu una settimana tutt’altro che divertente e se ne accorsero anche i miei. Non volli fare amicizia con nessuno e passai le mie giornate sotto l’ombrellone, fatta eccezione per qualche fugace bagnetto, solo per refrigerarmi un po’.

«Chissà cos’ha Dario?»

Pensando che io stessi dormendo i miei si misero a parlare di me e del mio comportamento. Non riuscii a comprendere tutto quello che si dissero, ma arrivai a capire che volevano in qualche modo cercare di allontanarmi da lei, cercando di farmi fare altre amicizie, di farmi conoscere altri bambini. Si sentivano diversi, condannati ad avere un figlio maschio con una migliore amica invece di un migliore amico. Dopo la parentesi marittima, comunque, per me le cose non cambiarono. Nonostante fossimo arrivati a casa dopo mezzanotte, il giorno dopo mi svegliai poco dopo le sette e alle otto in punto ero già sotto casa sua. «Forse è meglio lasciar fare a lui!», disse mia madre a mio padre, mentre io mi tiravo dietro la porta, uscendo. Avevo vinto io, ero riuscito a far capire ai miei cosa, anzi, chi era importante per me. Quel giorno mi sembrò di aver riconquistato qualcosa di caro, di irrinunciabile. Sebbene avessi solo sette anni, avevo già le idee ben chiare su cosa contasse veramente. Ripensando a quei tempi mi verrebbe da dire che qualche momento felice l’ho trascorso anche io, ma ciò che venne dopo riuscì a distruggere tutto, tutto me. Fu in quell’estate che scoprii il fiume. Eravamo usciti prestissimo, come al solito.

«Se prometti di mantenere il segreto, ti porto in un posto bellissimo.»

Era tutta eccitata e io promisi di non dire a nessuno dove saremmo andati. Cominciammo a pedalare sulla strada asfaltata che portava, scopersi dopo, alla cava di ghiaia. Bastarono poche centinaia di metri per finire su una stradina sterrata. Qualche pozzanghera era rimasta, a ricordo del temporale di quella notte, che mi aveva tenuto sveglio coi suoi tuoni e con la luce dei suoi lampi che si lasciava intravedere attraverso le tapparelle. D’un tratto, davanti a noi cominciarono a spuntare, quasi come se stessero uscendo dalla terra in quel momento, le cime di alcune piante. Man mano che avanzavamo gli alberi si facevano sempre più alti e maestosi e, tra i rami, intravidi un luccichio.

«Dove mi stai portando?», domandai abbastanza emozionato.

«Ancora un minuto e vedrai!»

Mantenne la parola. In meno di un minuto ci ritrovammo sulla riva del fiume. Appoggiammo le biciclette a terra e ci voltammo verso quella luccicante massa d’acqua.

«Hai visto? Quel pesce è saltato!»

Mi sembrava di essere arrivato in un piccolo Paradiso. Grazie a lei. La strada finiva dove noi eravamo seduti. A sinistra e a destra, altissimi, gli alberi che solo poco prima mi erano sembrati vivi, in grado di venirmi incontro.

«Ma guarda che non è mica qui che volevo portarti!»

Le parole di Elena mi incuriosirono nuovamente.

«Vieni, seguimi!»

Non me lo feci ripetere e, per la seconda volta in quel giorno, mi misi dietro a lei, fiducioso. La sua mano destra prese la mia. Ci addentrammo all’ombra, nel boschetto.

«Attento, qui. C’è un ramo che sporge.»

La seguivo come un cagnolino farebbe col padrone. Non ricordo per quanto camminammo. Un paio di minuti, forse cinque.

«Ecco, adesso sì che siamo dove ti dicevo!»

Incredibile! Già mi era sembrata meravigliosa la vista del fiume, ma quella che si apriva davanti ai miei occhi era qualcosa di ancora più spettacolare. Una spiaggetta tra gli alberi, posta in modo da ricordarmi la grotta di Betlemme nella quale venne alla luce il Bambino. Piccole onde si rompevano sulla ghiaietta, quasi come quelle che avevo visto al mare solo pochi giorni prima.

«Guarda! I pesciolini!»

Gli avannotti nuotavano lì, a pochi centimetri da noi.

«Dai, togliamoci le scarpe!»

Elena sembrava presa da una strana febbre. I suoi occhi si specchiavano nell’acqua e al contempo la riflettevano. Emanavano una luce brillantissima, bellissima a vedersi. In un baleno ci togliemmo le scarpe e immergemmo i piedi in quello specchio fresco, ristoratore. Passammo tutto il pomeriggio a giocare con l’acqua, a distenderci vicini, nel tentativo di asciugarci. Eravamo soli, accompagnati soltanto dal cinguettio di qualche uccellino. Le ore, purtroppo, volarono. Arrivammo a casa perfettamente asciutti, ma in ritardo di più di trenta minuti.

«Dove sei stato tu?»

Mia madre era a dir poco furiosa. Aveva telefonato alla madre di Elena.

«È appena partito con la bici per venire a casa.»

Come minimo, per ringraziarla, la dovevo accompagnare fino al cancello, anche se ciò mi sarebbe costato un aumento del ritardo di più di dieci minuti.

«Ero in giro in bici, mamma. E poi sono anche andato a giocare a calcio.»

© Roberto Grenna – Riproduzione vietata

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