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Da tanto non scrivevo sul blog. Forse troppo, per come sono fatto.
Oggi faccio un giochino. Scrivo due definizioni dello stesso termine, giusto per ricordare a me stesso – e a chi, altrimenti? – cosa non fare.
Atteggiamento che implica la subordinazione dell’altrui volontà e degli altrui valori alla propria personalità
Amore eccessivo ed esclusivo di se stesso o valutazione esagerata delle proprie prerogative, che porta alla ricerca permanente del proprio vantaggio, alla subordinazione delle altrui esigenze alle proprie e alla esclusione del prossimo dal godimento dei beni posseduti
Probabilmente mi renderò antipatico a tante persone, ma è la storia della mia vita.
La è perché non sono in grado di tacere ciò che penso. E che penso al netto di ciò che potrebbe essere utile e fruttuoso per me.
La è perché sul lavoro cerco sempre di fare ciò che è giusto che faccia. Non ciò che questa o quella persona ritengano più o meno utile a loro.
La è perché per cercare di far stare bene chi mi si trova di fronte, spesso mi anniento. E lo faccio così naturalmente da farla sembrare una cosa che “non sarebbe potuta andare diversamente”.
La è perché, con l’età, ho aumentato la mia pazienza, ma anche il grado della mia capacità critica e autocritica. E agli altri  perdono il novanta per cento di quello che non perdono a me.
La è perché, con il lavoro che faccio, spesso devo mettermi di traverso semplicemente per rispettare dei diritti. Nemmeno miei.
La è perché, in un mondo basato su apparenza e bla bla bla, cerco di mettere in campo sostanza e lavoro silenzioso. Salvo poi ingrassare trenta chili per la fame nervosa.
La è perché, sempre a causa dell’età, dopo tanto sopportare quando sbotto mi si sente fino agli antipodi. E non è bello.
La è perché ascolto gli altri fino a farmi sanguinare le orecchie, ma poi divento arrogante quanto chiedo d’essere ascoltato io. E taccio sulla qualità della comunicazione.
La è perché trovo giusto difendere il più debole da chi fa soprusi, ma non di rendere i soprusi a chi li ha fatti. Nemmeno se la vittima sono io.
La è perché, come ho scritto poco fa a una persona, non ho sbagliato epoca, ma era. E forse era giusta quella glaciale.
La è perché sono questa persona qui. Quella che cerca di evitare come la peste la parola che identifica le due definizioni date all’inizio di questo sproloquio. Quella che cerca nella serenità dell’altra persona la soddisfazione di aver fatto bene ciò che doveva. Quella che cerca in ogni modo di fuggire l’egoismo e il centromondismo.
Fino a che testa e pazienza sorreggeranno.

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