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Il capitolo introduttivo del primo saggio sui serial killer che ho scritto. Potete trovarlo qui.

Le donne e l’omicidio seriale

Da sempre, quando ci si riferisce a crimini di tipo cruento, piuttosto che a torture o sadismo, il pensiero corre al genere maschile. Non si discosta da questo cliché neppure l’ambito dei serial killer, all’interno del quale l’orrore e la perversione sono all’ordine del giorno. La realtà, però, è piuttosto diversa dall’immaginario popolare. Esistono, infatti, studi approfonditi e specifici che “leggono” e raccontano di assassine seriali talvolta più spietate e calcolatrici dei loro colleghi maschi.
Uno tra i primi studi completi sui serial killer al femminile è datato 1998, a firma Kelleher & Kelleher [1], già ripreso in Italia da Lucarelli e Picozzi [2].
L’analisi di un centinaio di casi, a partire dal 1900, mette in evidenza una classificazione che divide le assassine seriali in gonnella in due macro-categorie:
  • serial killer che agiscono da sole;
  • serial killer che agiscono in concorso.
Alla prima categoria appartengono:
  • le vedove nere;
  • gli angeli della morte;
  • le predatrici sessuali;
  • le assassine per vendetta;
  • le assassine per profitto/crimine;
mentre alla seconda appartengono le cosiddette team killer.
L’obiettivo di questo primo volume non è la disquisizione nel merito degli studi effettuati, ma il racconto – in alcuni casi costituito da frammenti – della vita di alcune criminali, le cui gesta hanno attraversato la storia, fin dall’Impero Romano. Ci concentreremo in particolare su casi di vedove nere e di assassine per profitto/crimine, poiché l’utilizzo del veleno è tipico di queste due categorie.
Le vedove nere uccidono tendenzialmente il partner, i familiari, oppure persone con le quali sono entrate in contatto e hanno stabilito una relazione. La loro carriera criminale può durare molti anni, soprattutto se l’utilizzo del veleno è fatto con accortezza, così che i sintomi possano essere confusi con quelli di malattie comuni, ma, chiaramente, con l’avvento di esami autoptici sempre più accurati e in grado di rinvenire qualsiasi tipo di sostanza all’interno dell’organismo della vittima, la probabilità di rimanere impunite è via via diminuita.
In alcuni casi, le vedove nere agiscono anche per profitto, al fine di impossessarsi dei beni del defunto; in altri, spinte da pulsioni differenti (ad esempio, la Sindrome di Münchhausen per procura [3]), o per vendetta.
Le assassine per profitto/crimine, invece, sono l’equivalente femminile dei sicari dei quali si racconta nei film di mafia e sui gangster. Il veleno è solo uno dei mezzi utilizzati per uccidere, poiché sono generalmente in grado di servirsi di molti mezzi lesivi, con assoluta indifferenza nei confronti della vittima e del contesto nel quale agiscono.
La nostra storia comincia intorno al 60 d.C. a Roma, proprio con un’assassina per profitto, l’Avvelenatrice Locusta; si passa poi alla Sicilia del XVII secolo, con Giulia Tofana – che sviluppò la propria attività tra Palermo e Roma. È del secolo successivo la storia di Giovanna Bonanno, attiva anche lei a Palermo.
A cavallo tra il 1700 e il 1800 agì in Germania Anna Maria Zwanziger, proprio in contemporanea con Sophie Charlotte Elizabeth Ursinus, mentre nella seconda parte del XIX secolo si sviluppò in Gran Bretagna l’attività di Mary Ann Cotton.
Si passa poi l’Oceano, andando negli Stati Uniti, dove agì Belle Paulsdatter Gunness, che era nata, però, in Norvegia, per arrivare al XX secolo, in Romania, patria di Vera Renczi.
Chiudono questo breve saggio la storia, quasi incredibile, delle Fabbricanti di angeli di Nagyrév e le gesta di Nannie Hazle Doss, la “nonna ridacchiante” statunitense.
Lungi dal voler essere esauriente ed esaustiva, quest’opera è – piuttosto – una sorta di ABC per chi voglia iniziare a conoscere il terribile e oscuro, ma affascinante, mondo dei serial killer.
Note
[1] M. Kelleher, C. L. Kelleher, Murder most rare: the female serial killer, Praeger Publishing, London, 1998.
[2] C. Lucarelli, M. Picozzi, Serial killer – Storie di ossessione omicida, Best-sellers Oscar Mondadori, 2004.
[3] La Sindrome di Münchhausen per procura è un disturbo mentale che spinge alcune madri ad arrecare un danno fisico al figlio/a per attirare l’attenzione su di sé. La madre viene così a godere della stima e dell’affetto delle altre persone perché si preoccupa della salute del proprio figlio/a. Questa sindrome costituisce un serio abuso sull’infanzia. Da https://www.alienazione.genitoriale.com/la-sindrome-di-munchausen-per-procura/
© Roberto Grenna – Riproduzione vietata

One Reply to “Da “Dieci storie di avvelenatrici” – Capitolo introduttivo”

  1. Il saggio, grazie all’argomento ed allo stile dell’autore, costituisce una lettura molto interessante. Offre, inoltre, una valida base di partenza per sondare le implicazioni psicologiche e patologiche, le condizioni socio-economiche e culturali, sottostanti le azioni delle protagoniste. È un testo agile che, se pur breve, non esclude richiami in chiave storico-antropologica, proponendo una inedita sfaccettatura del femminile terrifico. Dunque, un altro libro avvincente!

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