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I primi quattro giorni degli Esami di Stato si sono conclusi. Un po’ di stanchezza (nel mio caso dovuta al fatto di essere presidente di due commissioni, così da esaminare cinque candidati al mattino e cinque al pomeriggio – ma la miniera è peggio, come dico sempre), la preoccupazione per una situazione epidemiologica ancora sulle montagne russe, sebbene prevalentemente in regressione, ma la solita sensazione che provo ogni anno.

Difficile descriverla a parole. Per lo meno, difficile descriverla con una parola. “Gli esami non finiscono mai” era il titolo di una famosa commedia di un Maestro come Eduardo De Filippo che racconta, in maniera quasi amara, come la vita metta sempre di fronte a qualche nuova prova, che va assolutamente superata per accedere – per dirla come se fosse un videogame – al livello successivo. L’Esame di Stato ha subito più mutazioni di un animale delle foreste di Černobyl’. Ricordo il mio, di esame, in un’estate che s’era fatta subito calda dalla tarda primavera – dalla strage di Falcone e Borsellino – quando la commissione era composta da quattro commissari esterni e da un “membro interno” (e ometto per decenza tutte le battute che noi studenti sfoderavamo in merito a questa figura e a quella infelice definizione). A quel membro interno devo molto. E glielo riconobbi subito. Le mie prove furono ai limiti della decenza, ma la mia valutazione finale – sorprendentemente anche e soprattutto per me, che sapevo come era andato il tutto – rispecchiò il mio percorso scolastico dei cinque anni, sebbene fosse molto al di sotto di quanto aspettato, soprattutto dagli altri. Fu, realmente, un momento nel quale compresi un messaggio che ancora oggi mi guida nella vita e nel lavoro: l’impegno costante e un comportamento corretto danno i propri frutti. Magari a distanza di tempo, ma li danno. Magari in un momento nel quale non hai dato il massimo. Ma li danno.

Da allora, l’Esame ha vissuto primavere più o meno brillanti, alcune da dimenticare e altre da ricordare, passando dalla commissione composta da tutti interni e da un presidente esterno, che interrogava su tutte le materie – la commissione, non il presidente – a quella composta da tre interni, tre esterni e da un presidente-notaio, fino all’ormai famosa composizione dell’Esame della Pandemia, chiaramente per cause di forza maggiore: sei commissari interni e un presidente esterno.

Ho sempre amato svolgere gli Esami di Stato, sia da commissario interno, sia da commissario esterno, sia – ormai da otto anni – nel ruolo di presidente. Ho sempre amato essere parte integrante – e possibilmente equa, non invadente e non invasiva – dell’unico rito di passaggio che rimane nella vita delle nostre Figlie e dei nostri Figli. L’unico momento nel quale, se sono preparati a livello umano, possono comprendere quanto i propri sacrifici o la propria superficialità possano aver condizionato la loro prestazione conclusiva di un percorso che, come scritto poche righe fa, è cominciato almeno cinque anni prima. “Almeno“, perché c’è sempre chi, come dico io, ama approfondire gli studi…

Ho sempre amato poter porre, al termine del colloquio, una domanda, non influente – ovviamente – sul risultato finale: «Cosa farai, da grande?»

La pongo con la curiosità di un ex-studente al quale sarebbe piaciuto sentirsela fare, per cominciare a riflettere su se stesso e sul proprio futuro. La pongo con la curiosità di una persona che ha fatto della Scuola la propria vita – perché mi sento a Scuola sette su sette, acca ventiquattro – e con la voglia di conoscere di chi sa perfettamente che non si smette mai di imparare. La pongo perché, davvero, mi interessa comprendere quanto la Scuola influisca nelle scelte delle Studentesse e degli Studenti. La pongo perché, con quel “farai“, voglio sottolinear loro che il futuro comincia da qui. Buona vita, Ragazze e Ragazzi!

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