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Questa mattina, venendo a scuola a piedi, ascoltavo un po’ di musica con il lettore mp3 e le cuffie. All’interno della memoria del lettore ci sono canzoni (e generi) che sono le più varie ed eventuali: da Highway to Hell degli AC/DC (anche in versione solo strumentale dei 2Cellos) a La bamba di Ritchie Valens. Da Father and son di Cat Stevens a Like a prayer di Madonna. Da Let’s get rocked dei Def Leppard a Gli anni degli 883. Una miscellanea che, per un motivo o per un altro, mi ricorda vari momenti della mia vita, come la canzone della quale avevo parlato in un precedente post.
Beh… stamattina verso le sei partono le note di un’altra di quelle composizioni il cui testo rispecchia per una percentuale molto vicina al cento per cento ciò che sono o che cerco di essere: “Cerco di trovare la mia identità/Senza chiedere aiuto, ma sono lontano”…
Mamma mia, se sono lontano. I miei continui bilanci (lasciamo perdere le bilance, con le quali ho più di un contenzioso aperto) mi portano a interrogarmi quotidianamente sulla mia identità, come canta Luca Dirisio, senza chiedere realmente aiuto a nessuno. Vuoi perché il mio intimo e tutto ciò che ho incontrato nella mia vita non è di pubblico dominio e, anzi, spesso rimane confinato in angoli del mio io e della mia anima dei quali – ogni tanto – amo perdere le chiavi. Vuoi perché, in questo tempo e in questa situazione sociale, ciascuno è talmente impegnato a perseguire i propri obiettivi che non ha tempo nemmeno per ascoltare, figuriamoci per aiutare. Vuoi perché – e forse questo è l’argomento dirimente – solo tu puoi veramente capire chi sei.
Certo, ci devono essere delle regole ben precise, per farlo. La prima: non mentire a se stessi. La seconda: non cercare alibi. La terza: non cercare negli altri le responsabilità per i propri fallimenti. Piccoli o grandi che siano, infatti, i fallimenti fanno parte delle nostre vite. Dell’esistenza di ciascuno di noi. A forza di ragionare su quanto fatto, su quanto sbagliato, su quanto ancora da fare e su quante e quali decisioni potranno portare a conseguenze che non sono quelle attese, rischio poi di perdere di vista la domanda iniziale. Già, perché ogni volta che mi concentro per qualche istante su me stesso vengo letteralmente aggredito dal film della mia vita. Una vita fatta da una famiglia d’origine alla quale posso solo dire ogni giorno “Grazie”, anche se spesso ho fatto cose che non sono quelle che si aspetterebbero (e purtroppo ne farò ancora), ma non per sfregio o per dispetto. Men che meno per mancanza di rispetto: semplicemente perché, nel mio modo di valutare le cose, in quel particolare momento e in quelle particolari condizioni era giusto agire in quel modo. E non smetterò mai di ringraziare per avermi trasferito l’etica del lavoro e dell’onestà – intellettuale in primis e verso il resto del mondo in secundis – già solo per il semplice fatto che ogni mattina posso guardarmi allo specchio senza sputarmi in un occhio (sì, lo so… non è un bello spettacolo, ma questo passa il convento…).
Disposto a sbagliare solo per crescere/e non soccombere”: potrebbe essere l’icona della mia vita. Non certo un vanto, ma un dato di fatto. Soprattutto quando si tratta di cose che riguardano la mia pelle e il mio privato, perché sul lavoro devo sempre ragionare nei termini del “buon padre di famiglia” ed evitare quanto più possibile gli azzardi. Certo, a forza di sbagliare e – per tornare alla precedente considerazione – fallire verrebbe la voglia di insultarsi pesantemente. E, spesso, lo faccio anche. Perché sono il mio peggior censore. Ma poi cerco semplicemente di rimettermi in piedi, di mettere toppe laddove le cose non siano andate come si doveva. Magari anche di abbandonare strade che non portano da nessuna parte. O di farsi attirare, a un bivio, da un particolare che spinga da una parte piuttosto che dall’altra.
Certo, mi insulto. Mi schiaffeggerei anche, talvolta. Ma ho rispetto per come intendo la vita e, soprattutto, ho rispetto degli altri. Non è una cosa scontata, oggi. E la devo, oltre che ai miei, al percorso che ho fatto, tra errori, fallimenti, qualche successo e tanto amaro in bocca. Se sono quello che sono e se continuo a interessarmi agli altri prima che a me a stesso lo devo a tutto ciò che fino a qui mi è successo o che ho fatto succedere…

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